La consapevolezza di essere un’installazione/opera d’arte che ha voglia/desiderio di muoversi/agire in diversi modi c’è già nella foto/autoritratto del 1997, di ritorno da un viaggio a New York dove ero stata con mia figlia per festeggiare il suo 15esimo compleanno. Poso accanto a “Totem II” e sullo sfondo “…comme un oiseau” ancora freschi di pittura. Ancora non sapevo cos’era la performance art e nemmeno qualche anno dopo nel 2003, durante il primo soggiorno irlandese come visiting artist al Cill Rialaig. Mentre stendevo/giocherellavo con le code/flukes di tulle verde e blu portate dall’Italia sulla spiaggia di Dingle, sentivo respirare il delfino Fungie e mi pareva un gioco serio, che poteva valere/avere significato, indipendentemente da una foto che lo immortalasse o da un’opera prodotta. Allora ho capito che la pittura non mi bastava, volevo andare oltre, produrre delle cose che non si possono comprare/afferrare/prendere, muovermi in uno spazio non troppo irrigidimentato, da sola o in giusta compagnia! Volevo praticare un’arte libera che cambia e fa cambiare, che nasce dall’intimo e dal quotidiano e proprio per questo (forse) parla di cose che tutti conoscono. Molte azioni possono apparire sconclusionate e non pregnanti al profano, ma ‘this is my way’: ciò che è importante viene sempre e rigorosamente registrato di cuore e sviluppato/ripreso. Prende la sua forma nel tempo.