Nei tempi andati la penna stilografica era lo strumento principe per compilare diari, finché è stata soppiantata da biro, macchine da scrivere e dai più recenti strumenti tecnologici. Mi è sempre piaciuto raccogliere pensieri e schizzi nei diari, qualunque fosse il mezzo a disposizione: piuma d’oca, pennini, pastelli, pennelli o fotocamera. L’abitudine perdura, con la scusa di documentare pensieri, cronologie e l’etceteras della mia arte-vita. Scrivere a mano è bellissimo perchè sono tanti i supporti e i modi per tracciare sinuosi segni come onde del mare, esplorare la calligrafia o attuare forme di poesia visiva. Sono inoltre – e da sempre – incantata dalle lingue straniere e dai nuovi linguaggi, che spesso uso più o meno liberamente/creativamente nei titoli di quadri o nei concetti. Sono felice di leggere “L” di Laura anzichè di Large nell’etichetta di un vestito o di vedere un cuore in una goccia d’acqua. È bello anche ”scegliere” cosa val la pena di registrare in un diario, talvolta ripescandolo dal passato. Come quella volta che – più di 30 anni dopo – trasformai in un quadro una foto in bianco e nero che mi ritraeva tredicenne, vestita da Lucia Mondella. Insieme al manichino di “Gertrude” lo presentai a una mostra di Milano (“I Promessi Sposi e la Città Promessa”, 2002). La letteratura è per molti versi affascinante, specialmente se posso ri-viverla/scriverla a modo mio. Come successe per l’impromptu di fronte al Castello dove Rainer Maria Rilke scrisse le Elegie Duinesi, nel luogo dove soggiornarono Dante e Liszt (“Duino Paradiso Equinox” 2008). Mi piace fermare/fissare le note di viaggio più pregnanti ma riconosco che i ricordi più significativi non sono tangibili, perchè sono scritti nell’effimero che conta/resta, registrati nel/di cuore.